"Né arte né design". Alla Triennale di Milano si è svolto il 23 settembre il convegno sulle Arti Applicate in Italia, promosso dalla Fondazione Cologni. Il tavolo di discussione è stato condotto da Ugo la Pietra, architetto, designer, artista italiano, ricercatore instancabile, da sempre fervido sostenitore di un processo creativo "sinestetico" fra le arti, cioè fatto di contaminazioni e "travasi" fra discipline diverse. Il tema affrontato: come recuperare il saper fare artigiano nel design? Prima di tutto slegandosi dall'idea, sbagliata, che ciò che è artigianale sia necessariamente "classico" e persino di scarso "buon gusto", ricordandoci che in tutta Europa e in tutto il mondo, invece, il termine "craft" (talvolta,ma non sempre, autoprodotto) ha in sé il plus-valore della "fatto sapientemente", appunto con perizia artigiana, oltre che creato/progettato con metodo. Ci si chiede quindi: come incentivare anche in Italia questa interazione e integrazione fra design e artigianato, capace di generare manufatti, o meglio "arte-fatti", cioè oggetti "fatti-ad-arte"? Come recuperare nel processo di design e progettazione il valore della manualità artigiana a fronte di un sistema che è sempre più industriale e strutturato per la produzione in serie? Enzo Biffi Gentili, Direttore del Seminario di Arti Applicate/MIAAO di Torino, già nel 2002 aveva lanciato la kermesse torinese, "Artigiano Metropolitano" per rilanciare il settore delle Arti Applicate - in genere considerato minore e confinato in fiere del mobile e dell'artigianato. Una manifestazione di alto livello culturale articolata in sette mostre nel centro della città per raccontare un secolo di creatività artistico industriale a partire dall'Esposizione Internazionale del 1902, la prima al mondo destinata esclusivamente alle arti decorative. L'arte applicata, sottolinea Gentili al convegno, aspira alla riproposizione di una "techne" (dal greco τέχνη) intesa come capacità creativa, elaborazione progettuale ma anche, necessariamente, come perizia esecutiva, come mestiere d’arte. Harold Rosenberg, critico d'arte e storico di metà XX sec, arriva persino ad affermare che "non c'è differenza fra un artigiano eccellente e un designer". A livello europeo è sempre maggiore l'attenzione da parte del designer verso l'arte, le nuove materie, le nuove tecniche, verso i sistemi di autoproduzione. Una tendenza che vede rinnovare la vecchia struttura dell'artista/artigiano, maestro del saper fare, delineando una figura nuova, capace di introdurre ora nel proprio lavoro tutte le componenti di una impresa moderna: un progetto di qualità, la tecnica e i procedimenti innovativi, la comunicazione e commercializzazione. Al tempo stesso dunque artista, designer e artigiano. In Italia questo processo di rinnovamento è meno marcato che nel Nord Europa ad esempio. Ancora, forse, manca nel nostro paese una politica culturale diffusa, e non esiste un sistema commerciale strutturato che possa supportare questo nuovo modello di piccola/piccolissima impresa. Di fatto, comunque, siamo tenuti a confrontarci con il "craft" europeo. Non bisogna dimenticare che l'Italia è storicamente la culla del saper fare artigiano e vanta ancora oggi la presenza sul territorio di eccellenze che ci vengono riconosciute all'estero come ineguagliabili. In questa riflessione siamo invitati a focalizzare l’attenzione sulle nostre diversità territoriali intese come valori, a livello culturale e materiale, e coltivare quindi un saper fare Territoriale. Il "Made in Italy" non è dunque sufficiente . Suona come una provocazione, ma è così: il Parmigiano è Reggiano, non italiano, la pizza è napoletana, non italiana, il vetro lavorato è di Murano, non Italiano... L'invito è quindi ritrovare l’unicità delle nostre differenze, influenzate dalle stratificazioni culturali e dalle varietà dei nostri territori. Paola Navone, altra protagonista del convegno, sulla scia di questa riflessione di La Pietra, azzarda persino l'idea, geniale, di rinforzare i "cluster" di regione, e affiancare al mercato "slow" nel food e nel settore alimentare anche la territorialità del craft (e perché non chiamarlo "Slow craft"?). L'invito di Francois Burkardt, storico del design e curatore, direttore della rivista Domus dal 1996 al 2000, è poi portare questa nuova arte/artigianalità/design nell'abitare collettivo - riportandoci al concetto di "abitare felice" nella cultura del movimento Bauhaus - e contribuire così alla bellezza delle nostre città, con una caratterizzazione urbanistica che possa avere valore "artistico", oltre che puramente funzionale. Nel dibattito si parla poi di trasformazione digitale e "fare artigiano". Se da una parte la prima ha portato a una perdita di "relazione tattile", essenza intrinseca del fatto a mano, dall'altra le tecnologie digitali aprono importanti nuove opportunità anche per il settore della manifattura. L'artigiano di oggi deve essere capace di raccogliere questa nuova sfida, affiancando alla motivazione personale, alla passione per il mestiere d'Arte - quindi al proprio "capitale semantico" - altri strumenti, dai quali oggi non si può prescindere. Parliamo di strumenti di marketing (promozione sui piattaforme social), commerciali (piattaforme e-commerce), e nuovi mezzi tecnici (stampanti 3D), che devono essere utilizzati dall'artigiano di oggi per recuperare il valore intrinseco dell'oggetto, del pezzo unico e fatto su misura. Per capire il potenziale effettivo pensiamo allo Storytelling, strategia vincente di comunicazione persuasiva nel digital marketing. Raccontare la storia di un Marchio, di una Azienda, di un Prodotto è uno degli strumenti più efficaci per creare mercato. Se la storia, la sua storia, ce la racconta un artigiano, un artigiano italiano, uno che ha veri contenuti ricchi di tradizione e passione, allora ci sono ottime probabilità che sia un buon racconto e che possa realmente aiutare l'impresa e valorizzare il suo Saper Fare. Nel caso dell'artigiano, poi, non si tratta solo di strategia per vendere il prodotto ma anche mezzo per diffondere cultura. Nel dibattito della giornata, di fronte all'interrogativo su come favorire dunque nel nostro sistema di impresa l'incontro fra design e artigianato, emerge chiara l'importanza di fare un passo avanti nella didattica. E' necessario investire sulla formazione, creare laboratori didattici capaci di far crescere le discipline internamente alle grande accademie del design in Italia. e pensare a queste accademie come luoghi politecnici di ricostruzione delle filiere del valore. Proprio la Bauhaus era nata come fusione tra una scuola tecnica e un'accademia di arte in cui allievi e insegnanti/artigiani erano uniti dallo stesso intento di "erigere la casa del futuro", vivendo in stretta collaborazione nella scuola in un clima di entusiasmo e familiarità. Nella storia di Gropius il momento teorico, il momento pratico della creazione e il momento pedagogico sono impossibili da separare. Un'altra strada da intraprendere nel sistema formazione/lavoro sarebbe incentivare percorsi di apprendistato degli studenti presso i laboratori artigiani. Un primo passo per incentivare la cultura del fare, e fare bene, oltre che quella del progettare. Magari, chissà... con la speranza che il sistema didattico in "bottega" (ricordando che è nelle antiche botteghe rinascimentali che ha origine il saper fare italiano) e un "design territoriale" (nel nostro passato artistico e culturale erano proprio le singole identità territoriali a fare "Scuola" - vedi l'antica scuola Fiorentina, la scuola Veneziana, la scuola Romana,etc..) possano portare l'impresa italiana verso una nuova Rinascita. Forse possiamo cominciare a immaginare anche all'interno della media/grande impresa italiana la valorizzazione del "progetto umano", e pensare a questo come senso nuovo, autentico, per fare impresa con successo. E' quello che dopotutto accadde nel Rinascimento quando lo stesso Umanesimo diventò strumento di realizzazione di un progetto unificante della polis, delle arti e dei mestieri. I segnali di questa nuova direzione cominciamo a vederli. Fra i tanti, Diadora e la Capsule Moda A/I 2019 in collaborazione con il designer Danilo Paura, che ha come tema principale "craftsmanship as a rule" , progetto "Made in Italy" che combina ricerca, sartorialità al dna sportivo di Diadora; la collezione di Giuseppe Zanotti, (marchio di calzature di lusso scelte da star internazionali come Madonna, Beyoncè, Gwen Stefani, Jennifer Lopez..), appena presentata durante la settimana della moda P/E 2020, frutto di un mix di creatività/design e artigianalità al 100%made in Italy. Ancora, a conferma di questa tendenza è la delibera appena approvata dal Comune di Venezia per tutelare le attività commerciali che valorizzano il patrimonio culturale della città, quindi la concessione di autorizzazioni in centro storico a negozi con artigianato locale di qualità piuttosto che prodotti low cost che di Made in Italy hanno ben poco. Dialogare con questi valori distintivi della qualità' italiana - la creatività, l’innovazione, la bellezza, la ricchezza nella differenza e un forte legame con il territorio - non significa guardare indietro o solo difendere la tradizione; vuol dire ridare forza a un progetto culturale condiviso e proporre un nuovo paradigma economico e sociale sostenibile, che riconosca il valore del "capitale umano", la sua capacità di produrre "rendimento" in termini di "produttività totale" e di conseguenza, di benessere, individuale e collettivo.
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Nasce la prima edizione di "BienNoLo", la biennale d’arte contemporanea di NoLo, il distretto multietnico della creatività a Milano. “A Nord di piazzale Loreto”, con un toponimo che ricorda il newyorchese SoHo, il distretto ha puntato negli ultimi anni su un tono decisamente cool, accogliendo anche numerosi eventi durante la settimana del Salone del Mobile. L'evento artistico, Ideato da Carlo Vanoni, che ne è anche curatore insieme a ArtCityLab e Matteo Bergamini, ospita dal 17 al 26 maggio nei suggestivi spazi dell’ex Laboratorio Panettoni Giovanni Cova le opere di 37 artisti selezionati. «Opere transitorie in luoghi transitori, lavori effimeri nella loro essenza e nella materia che li compone e che si inseriscono in uno spazio espositivo che ne diventa elemento strutturale; opere che non potrebbero esistere altrimenti, in altro tempo, in altro luogo, in altra dimensione» Il primo esperimento di Biennale d'arte a Milano si svolge in uno spazio espositivo urbano, un ex capannone industriale e non un museo, per presentare opere che vivono illuminate dal giorno e oscurate dalla notte, facendole diventare parte integrante del luogo. Questo approccio è interessante e ci riporta all'evoluzione dell'arte "ambientale", nata con la volontà di combattere il “sistema dell'arte”, eliminando l'oggetto artistico in sé e, più in generale, la mercificazione dell'opera d'arte, per giungere poi con gli anni a una "istituzionalizzazione" e legittimazione artistica di installazioni, eventi site-specific, happenings... La nascita di nuovi centri espositivi con caratteristiche molto differenti rispetto ai convenzionali musei risale agli anni '60 e '70 e mette in risalto l’esistenza di una relazione tra l’oggetto artistico e lo spazio circostante. L'ambiente diventa elemento che entra a far parte del processo artistico e di conseguenza, anche dell'allestimento dell’opera. Il critico Germano Celant afferma che tra l'opera e il contesto vi sia uno scambio reciproco: «l'arte crea uno spazio ambientale, nella stessa misura in cui l'ambiente crea l'arte» E' già dalle prime Avanguardie del '900 che si fa riferimento al superamento della concezione di autonomia dell'opera d'arte rispetto al contesto in cui viene collocata. La prima intuizione circa questa relazione di reciproca sopravvivenza arte e ambiente si può attribuire agli artisti futuristi e alla loro idea di "arte totale", capace di prevaricare i confini, abbracciando ogni aspetto della vita. Il Costruttivismo e il Suprematismo svilupparono ulteriormente il concetto, pensando all'arte come strumento di trasformazione del contesto sociale, facendola così uscire dagli ambienti dell'élite culturale. Nel 1920, El Lissitzky, una delle figure principali dell'avanguardia russa, comprese pienamente la capacità di poter andare oltre alla singola dimensione dell’opera, per integrarla all’ambiente, facendola essere allo stesso tempo contenuto e contenitore. Riuscì così a coniugare, a mettere in connessione, in un risultato organico e innovativo, diverse discipline come l'architettura, la scultura e la pittura. Concepì poi l'idea, ripresa molti anni dopo negli Stati uniti diventando la pietra miliare della Installation Art, della partecipazione attiva del pubblico in un'opera d'arte. Un altro artista che successivamente lavorò sull’idea di "installazione" e sulla costruzione di "ambienti" fu Marcel Duchamp; nel "Ready-Made" è insita la relazione semantica fra oggetto estetico e il luogo in cui è esposto. Jackson Pollock influenzò l’arte ambientale da un punto di vista performativo (Action Painting), mentre la ricerca di Lucio Fontana si connotò da un punto di vista sensoriale e architettonico; si superò il limite della ricezione contemplativa dell'opera e, al contrario, questa cominciò a includere un'attiva partecipazione totale dei sensi, seppur in forma molto semplice. Fu Allan Kaprow - pittore americano, assemblagist e fra i fondatori del "Happening" nei tardi anni '50 e '60 - il primo artista a definire teoricamente le caratteristiche degli environment: il coinvolgimento degli spettatori e gli interventi a livello ambientale non sono che la diretta conseguenza della fusione di arte e vita. Un artista che fece della modalità espositiva delle opere d’arte una parte determinante della sua ricerca artistica fu Donald Judd (anni '40 -'60). I suoi oggetti, apparentemente autonomi, non possono essere percepiti senza considerare il rapporto con lo spazio che occupano e influenzano. Il riutilizzo di edifici fu uno dei temi centrali della sua produzione. Judd Acquistò nei primi anni,'70 vari immobili nella piccola cittadina americana di Marfa nel Texas, finanziato anche dalla Dia Art Foundation di New York (organizzazione no profit, fondata nel 1974 con il compito di sovvenzionare, valorizzare e proteggere progetti nel campo dell'arte contemporanea) tra cui alcuni strutture della vecchia base americana di Fort D.A. Russel, da anni chiusa e abbandonata. Dopo averli parzialmente restaurati, il progetto "Marfa" divenne la sede della Fondazione Chinati, un centro espositivo immerso un'area di natura incontaminata ed estraneo al circuito delle gallerie, un "museo per artisti" nato con l'intento di esposizioni permanenti. Le opere erano qui illuminate solo da luce naturale; le pareti degli Hangar venivano abbattute per fare spazio a file di finestre a tutta altezza, creando una forte illusione di compenetrazione tra la natura esterna e le opere interne. Da sperduto paese del profondo sud, quasi al confine con il Messico, Marfa ebbe la possibilità di vivere una seconda vita grazie alla Fondazione Chinati, che ogni anno continua ad attirare migliaia di visitatori in questo irraggiungibile angolo di mondo. Il progetto di questo artista è la dimostrazione di come l’arte possa rivitalizzare un edificio e un paese intero, attirando le persone a viverlo nuovamente a rimanerne ispirati. Le nostre città, e non solo i grandi agglomerati urbani, sono ricche di un patrimonio che aspetta solo di essere valorizzato, e di avere nuova storia. L'approccio di BienNoLo è interessante e da seguire; un evento "locale", di quartiere, capace di attivare connessioni, attivare spazi abbandonati e rigenerarli, per farne cultura. Come questa manifestazione, temporanea, ci sono altri esempi validi di Rigenerazione Urbana in Italia che hanno saputo dare nuova identità a spazi che erano ormai diventati "invisibili". L'augurio che possiamo farci è che le amministrazioni locali o le iniziative private siano sempre più orientati ad azioni di recupero e riqualificazione di patrimoni edilizi esistenti finalizzate ad un miglioramento della qualità culturale e artistica della vita, nel rispetto dei principi di sostenibilità ambientale e di partecipazione. Dovrebbe diventare sempre più una priorità intervenire in modo creativo nella trasformazione dei "vuoti" urbani. Sarebbe opportuno considerare sempre con maggiore consapevolezza la rigenerazione urbana come metodo per fare Innovazione incentivando il potenziamento delle connessioni fra persone, fra oggetti e ambiente, e fra persone e ambiente. Manuela Mazzanti - Designer/Creative Director BienNoLo 2019
"#Eptacaidecafobia” La biennale d’arte contemporanea di NoLo Da un’idea di Carlo Vanoni A cura di ArtCityLab, Matteo Bergamini e Carlo Vanoni Dal 17 al 26 maggio 2019 Artisti: 2501, Mario Airò, Stefano Arienti, Elizabeth Aro, Francesco Bertelé, Stefano Boccalini, Marco Ceroni, T-yong Chung, Laura Cionci, Vittorio Corsini, Carlo Dell’Acqua, Premiata Ditta, Serena Fineschi, Giovanni Gaggia, Giuseppina Giordano, Riccardo Gusmaroli, Massimo Kaufmann, Sergio Limonta, Loredana Longo, Iva Lulashi, Francesca Marconi, Margherita Morgantin, Alessandro Nassiri Tabibzadeh, Adrian Paci, Federica Perazzoli, Matteo Pizzolante, Alfredo Rapetti Mogol, Sara Rossi, Alessandro Simonini, Ivana Spinelli, The Cool Couple, Eugenio Tibaldi, Luisa Turuani, Massimo Uberti, Vedovamazzei, Bea Viinamaki e Italo Zuffi. Ex Laboratorio Panettoni Giovanni Cova Via Popoli Uniti 11, Milano (MM1 Rovereto) Opening: 17 maggio 2019, dalle 12.00 alle 20.00 Orari: da tutti i giorni, dalle 12.00 alle 20.00. Sabato 18 maggio: dalle 14.00 alle 20.00 (concerto Piano City Milano: dalle 11.00 alle 13.00) www.biennolo.org, info@biennolo.org |
Manuela Mazzanti
Designer e consulente creativa con esperienza maturata in Aziende nel settore Moda, Accessori e Arredo. Archivi
Novembre 2023
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